Quasi Altrove

Angelo Marinelli

Quasi Altrove

28 Ott 2016 - 18 Nov 2016

Vernissage
Venerdì 28 Ott 2016 | 17:00-23:00


Testi critici
Micol Di Veroli

Scheda artista
Angelo Marinelli

Press Kit

“Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,
scheggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d’esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti
agli ultimi prati.”

(Pasolini, Il pianto della scavatrice)

La fotografia si è imposta sin da subito come generatrice di un dizionario simbolico comune al fine della comunicazione e del memento, nel corso dei decenni essa ha sancito la riduzione della totalità dell’esperienza umana ad un solo senso, vale a dire la vista.

Oggi però la pratica spontanea di milioni di fotografi in tutto il mondo è divenuta una mera consuetudine, scattare un’immagine non è più il prodotto dell’osservare ma del semplice vedere, un’appropriazione meccanica che non ha nulla a che vedere con la pratica artistica ne con l’informazione. L’uomo fotografico si è arreso al consumismo dell’immagine ed è tornato al concetto elaborato da Roland Barthes, quello secondo il cui l’organo del fotografo non è l’occhio ma il dito, ciò che è legato allo scatto dell’obbiettivo. Sul suo saggio On Photography, Susan Sontag afferma: “Si chiedeva ai fotografi di non limitarsi a vedere il mondo così come è, comprese le sue meraviglie già riconosciute: loro compito era suscitare interesse con nuove decisioni visive.” Da par suo Alfred Stieglitz racconta con orgoglio di essere rimasto per tre ore sotto la bufera di neve del 22 febbraio 1893 “ad aspettare il momento adatto” per scattare la sua famosa fotografia Inverno nella 5th Avenue. Il momento adatto è quello in cui si possono vedere le cose ,soprattutto quelle che tutti hanno già visto, in maniera diversa. “Bisogna trovare la bellezza con un altro modo di vedere” era questa l’unica maniera di generare una bellezza degna di attenzione, ai tempi del trattato di Susan Sontag e di Alfred Stieglitz ma come dicevamo le cose al giorno d’oggi sono drammaticamente cambiate. La fotografia non riesce ad ammirare le cose da una diversa angolazione poiché ogni angolazione disponibile è stata già occupata dalla relativa immagine. La diffusione degli obiettivi fotografici sul territorio rende possibile una sorta di onniscienza, un caos della visione che trasforma il mezzo fotografico in un’entità eterna, atemporale, senza confini, senza limiti. Nulla sembra riuscire a catturare il sentire comune. Per rompere ogni indugio rappresentato dai canoni e riportare attenzione sull’immagine si dovrebbe tentare di scegliere appunto nuove decisioni visive.

La ricerca fotografica di Angelo Marinelli si ripropone di ritrovare una nuova identità della visione attraverso scelte che di fatto si gettano all’interno della luce, riorganizzando anche le porzioni di tempo che determinano il formarsi dell’immagine. Le sue panoramiche monolitiche e silenti sulla società moderna rappresentano un nuovo modo di gestire le metafore della visione, senza incappare in luoghi comuni od inutili barocchismi. Nella poetica dell’abbandono e della ricerca del vuoto come punto perfetto di riflessione ascetica, l’artista riporta alla luce un universo costituito da movimenti minimi e dense stratificazioni architettoniche. Tali caratteristiche contribuiscono ad edificare una mitopoiesi perfetta e delicata, che si poggia sul tempo stesso come generatore di immagini. L’occhio di Angelo Marinelli è capace di ritrovare la bellezza attraverso un altro modo di vedere la realtà, riaccendendo quel gusto per l’enigma nascosto dietro le cose quotidiane. La sua ricerca ha qualcosa di omerico a cui si aggiunge una discreta dose di malinconia, ciò trasforma ogni fotografia in un ambiente metafisico fermo nella memoria ed anzi è proprio quest’ultima ad auto-generarsi nella mente dello spettatore che assorbe la visione facendola propria. La scelta dei colori e dei toni, molto spesso freddi e desaturati raggiungono un’impostazione strutturale e una tecnica linguistica morbide e sensuali che contribuiscono ad acuire il senso di curiosità e fascino per ogni fotogramma. Le immagini divengono così una forma privata di dialogo tra la formazione di tutte le cose e la retina che le osserva da ogni angolazione possibile. Un’onniscenza dettata dalla lente dell’obiettivo che ritrova il gusto di decidere e di stupire attraverso la bellezza ed un nuovo modo di vedere.

Micol Di Veroli

È come se in maniera graduale tutto in questa città stia cambiando, nonostante la capacità di Roma di sorprendere ed emozionare ancora, si sta vivendo, in questo periodo, una comune disillusione, dalla società moderna, dal fascino della grande città, dalla metropoli e di conseguenza: dalla città Eterna.

La Roma che aveva la forza di sorprendere e far superare i momenti di “basta, vado via”, i momenti in cui si metteva in discussione le ragioni per cui vivere in una così grande città fatta ultimamente solo di difetti e i cui pregi appartenevano solo alla storia, negli ultimi anni sta cambiando e come se abbandonata a se stessa sta restituendo l’immagine di una città ancora una volta piena di controsensi un po’ urbana un po’ rurale.

Le immagini che ho deciso di imprimere nella serie “quasi altrove” sono immagini che raccontano una città che improvvisamente si trova quasi disabitata, abbandonata a se stessa e ai pochi rimasti. Una città che non avendo più senso di esistere come Urbe e come metropoli inizia a subire, nell’abbandono, un processo di trasformazione; quasi come risposta al bisogno del cittadino che va via di tornare ad una vita fatta di cose semplici e naturali, ad una vita rurale.

“Quasi altrove” vuole essere la documentazione di una Roma del futuro, deserta e dove il monumento e l’architettura ridiventano pietra, cemento, polvere senza alcuna valenza storica o stilistica.

Angelo Marinelli

Evento 891 aggiornato il 17 Novembre 2020 - 17:02