Nelle strie di Paolo Assenza ci sentiamo chiamati a intervenire con la nostra visione, situandole in un punto preciso tra riproduzione e realtà, mentre queste opere rifiuterebbero di essere incasellate. Siamo di fronte a un mondo fluttuante, dove gli orizzonti si susseguono molteplici, dove i colori non si riferiscono solo alla natura, ma sono anche colori dell’anima, in una sospensione che alla fine parla di noi. In questa disposizione, di accoglienza e rifiuto, trovo il duplice atteggiamento che sta alla base di queste opere, poiché se da una parte c’è l’attenzione per il mondo, dall’altra c’è il rifiuto di diventare un suo abitante. Così questi paesaggi, se tali si possono definire, sfumano nell’indistinto, nell’incertezza di una partecipazione al mondo o di un suo abbandono. Allo stesso modo c’è l’indecisione nell’affidarsi alla capacità della vista di comprendere, oppure concedersi al segno, alla sua rude concretezza rappresentativa. In queste opere dunque viene ripreso un tema cardine della pittura del ‘900, cha ha molto dibattuto sulla differenza tra la visione e la sua ricostruzione mentale, a partire da Cézanne. Nella recente produzione di Paolo Assenza l’elemento di novità è costituito invece da una esplicita bidimensionalità, protesa da serie di piani paralleli non naturalistici, che confessano l’impossibilità di comprendere il mondo e il conseguente nichilismo. Queste opere sono indecise tra dispersione ed evocazione, tra grafica e riproduzione della natura. Di conseguenza i personaggi, presenti un tempo con i loro destini minimali, mancano del tutto. Al contrario l’attenzione è mantenuta sempre vigile dall’esplicito farsi materiale di questa pittura, con tocchi controllati, quasi cancellati, che sfumano nell’impercettibile. Sebbene per nulla enfatizzati, queste opere portano tutti i gradi e i valori del nostro divenire esistenziale, con una ricchezza che si scopre lentamente, riuscendo comunque ad accogliere e mostrare tutte le nostre disposizioni interiori, anche l’estraneità.
Paolo Aita