Mostra personale con una presentazione inedita di Paolo Aita
Oreste Casalini da sempre fa i conti col tremendo. Invece di trovare dei segni estetici di corrispondenza ad una forma, nelle sue opere il trait-d’union è la fedeltà alla ricerca della rappresentazione del culmine. Di volta in volta, in ogni successiva esposizione, sembra giocare al rialzo della quantità di coinvolgimento. Come in questa nuova piccola/grande mostra, dove sonda le possibilità dell’installazione, della fecondazione di uno spazio in cui siamo chiamati ad entrare come in un’arena di forze che trovano finalmente una espressione integrale.
I materiali sono utilizzati in modo inconsueto, forme aperte ma solide per le opere a parete, secondo una idea di pittura che tende ad includere la dimensione della scultura, e forme chiuse ma impalpabili nelle opere in scultura, dove la tridimensionalità tende a racchiudersi nella purezza di una linea.
La bellezza è regola che incorpora l’uomo, dunque composizione e rappresentazione di ragione ed eccesso insieme. Da qui Il titolo ‘Aritmie’ che allude ad un disturbo della regolarità della forma, alla feconda alterazione del ritmo che apre a possibilità imprevedibili.
Sono opere che vivono nella totale assenza di remore estetiche, di filtri relativi al gusto e a ciò che è ‘costumato’, a ciò che secondo le convenienze sarebbe giusto far entrare nell’opera, così che finiscono per incorporare molto di più di quanto dovrebbero.
Per ‘pittura solida’ qui si intende una modalità di contenimento del caos, secondo un’idea di immanenza non rappresentata ma vissuta fino in fondo, portatrice di un rinnovato possibile realismo. L’opera è quindi il risultato di un confronto con la pratica dell’arte che si tramuta in gesto, in azione immediata da cui emerge una materia liquida come lava colata da un’eruzione interiore. Lo spazio dell’opera è confine, argine alla dispersione e al disordine, e i quadri, quasi a inseguire la loro etimologia, si danno come ‘riquadri’, superfici finite entro le quali contenere l’infinito. Non solo segno dunque, ma corpo e sostanza, materiali organici e spirituali che tracciano un orizzonte all’altezza del quale diviene possibile la nuda percezione, la rappresentazione di un desiderio di assoluto che comprende e cancella ogni speculazione intellettuale, invade l’intero quadro e lo tramuta in una forma solida come quella di una scultura. Qui la materia si fa ritmo, le immagini emergono dal nulla, come in un crescendo di stazione in stazione ad ogni sguardo solidificano una scena diversa, le forze che si affrontano da tutti i lati diventano sempre più chiare, l'architettura del quadro diventa più evidente. Fino a dissolversi nuovamente nel bianco, nella pura modulazione di luci e ombre, dove un’immagine appare e scompare a secondo delle ore del giorno, si colora dell'atmosfera, senza più confini tra un dentro e un fuori, emerge come pura traccia dell'energia segreta che tiene insieme tutte le cose.
Di fronte questo scenario giacciono le figure bianche e nere, come esseri intermedi, viventi in una sospensione di stato tra umano e divino, forme di un ideale inevitabilmente senza volto, senza rappresentazione. Per ogni bellezza si avverte sempre una sofferenza lì dove manca. In ciò c’è tutta la teoria occidentale dell’impossibile creazione del corpo come rappresentazione della bellezza. Questi corpi la rappresentano, ma nessuno può dire se siano belli perché della stessa natura ideale del bello, o se quel particolare corpo sia bello perché ben composto. Questi corpi sono belli perché rendono possibili tutte le domande sulla bellezza.
‘Aritmie’ quindi è una metafora angelica che ammanta di qualità e caratteristiche ciò che non può essere detto. Per questo motivo Oreste Casalini può proiettare su queste opere qualsiasi cosa, o far dire loro qualsiasi cosa. Esattamente come l’innamorato proietta il suo amore sull’amata, e allo stesso modo avviene l’incarnazione dello spirituale: in tutti i casi il corpo non è mai visto nella sua specificità. E’ solo immaginabile, invisibile perché indeclinabile. Convulsivo perché quel corpo è noi.
Il coraggio di buttarsi nell’ignoto nel tentativo di esplorare nuovi orizzonti, di mostrare il divenire di un mondo in mutamento, e gli sviluppi che i suoi effetti hanno nell’intimo delle persone.