Il nostro atteggiamento su ciò che ci circonda può essere intuito già dai termini che usiamo. Se parliamo di spazio, probabilmente ci riferiamo ad un ambiente di tipo metropolitano, un ambiente denaturato, comodo, e conformato in modo da rendere facile l’esistenza; al contrario se parliamo di paesaggio, probabilmente il nostro riferimento è di tipo naturalistico, e facciamo così sentire le difficoltà di questo habitat, a cominciare dalle distanze degli spazi aperti. L’attenzione alle nostre proiezioni verso l’ambiente che ci circonda sono vecchie quasi di un secolo, così la scelta di dipingere natura invece di metropoli già ci dice molto di Marta Mancini, che fa una scelta controcorrente, vivendo, come la maggior parte di noi, in città.
Il paesaggio naturale è diviso dalla linea dell’orizzonte, ed è uno degli elementi simbolici più diffusi e intensi. In questo caso l’orizzonte serve a scindere ciò che è solido rispetto ciò che è aereo. In questi paesaggi sono uniti da un trattamento segnico che li accomuna, e li fa diventare ricettacoli di un atteggiamento pittorico piuttosto deciso. Infatti Marta Mancini sembra coltivare l’illusione di poter toccare non solo ciò che si trova all’orizzonte, ma anche le nuvole. Tutto ciò che si trova davanti i suoi occhi è sottoposto a una trasfigurazione di tipo tattile, che sceglie la pittura per raccontarsi. Naturalmente gli effetti di questo trattamento non tardano a farsi sentire, così noi avvertiamo delle interferenze che si frappongono tra noi e il paesaggio, e lo demoltiplicano, attuando delle compresenze sulla tela.
Le forte carica soggettiva di Marta Mancini racconta un destino comune che unisce il solido e l’aereo, un destino che comporta e assorbe anche gli accidenti della pittura, generati da ricerche intensamente personali. Il colore porta le stigmate di una cromia dell’anima, così difficilmente riusciamo a scindere il notturno dal diurno in questi paesaggi gravemente innaturali, dove, anzi, la natura è solo un pretesto. Appare così evidente che il paesaggio, qualsiasi paesaggio, è solo una metafora della nostra condizione, null’altro, ancor meno un luogo da vivere.
Paolo Aita