Estetica tecnologica e arte concettuale: è probabilmente la sfida più attuale e il connubio più difficile nel panorama delle arti visive contemporaneo. Michele Lostia affronta questa sfida in 12 opere, dalle variazioni minime e dai collegamenti sottili, che sembrano vibrare su un ritmo musicale e che compongono la mostra “Orizzonte Artificiale”, dal 5 maggio e fino al 16 giugno.
Si tratta di sei grandi lavori in alluminio in cui è stato utilizzato un light tape contenente polvere di fosforo e d’argento. L’elettricità illumina la serie di bande creando un effetto ipnotico. Nelle opere in cartoncino, di dimensione minore, l’artista ha applicato delle strisce adesive opalescenti che sul fondo nero permettono un contrasto che le assimila ai lavori più grandi.
In realtà, i rimandi sono molteplici: prima di tutto, allo strumento dell’orizzonte artificiale a cui si affidano i piloti di aereo nelle loro cabine durante la navigazione. Lo stesso nastro luminescente, un materiale ad alta tecnologia, è usato per indicazioni di percorso all’interno degli aerei. “Occorre da parte dei piloti una totale fiducia in questo strumento” spiega Lostia. La sua ricerca nella tecnologia aeronautica trascende però anche in un campo filosofico, come accadeva in passato con i video degli artisti di Fluxus e oggi con gli artisti giapponesi del collettivo Dumb Type, visti all’ultima Biennale veneziana, nel padiglione nipponico, un’installazione d’ambiente sospesa tra tradizione e information technology.
Le superfici attraversate da linee brillanti di Lostia si collegano invece ai trigrammi e agli esagrammi del Tao e dei Chin, linee intercambiabili che tracciano i destini umani su un orizzonte interiore. L’orizzonte è sempre illusorio, quello dei sensi e quello dei piloti nelle loro cabine e perfino quello suggerito negli esagrammi cinesi. L’orizzonte serve forse per tenerci in equilibrio. Con grazia e semplicità come ci indicano i lavori di Michele Lostia, il cui filo estetico porta la memoria al minimalismo di Donald Judd e ai ritmi al neon di Dan Flavin. E chiede allo spettatore di specchiarsi, con fiducia, ciascuno nel proprio orizzonte.
Fabio Sindici