La ricerca di Christophe Constantin è la risultante, concettuale ed estetica, della sintesi tra due lontane ma non totalmente diverse ideologie: Il Realismo e la PopArt. Sono infatti presenti elementi riconducibili ad entrambe le correnti, i quali ne rendono difficile l’accostamento preciso e totale nell’una o nell’altra ideologia. Ritengo sia giusto quindi dovendo analizzare l’opera di Constantin parlare di “Pop-Realismo”. Per meglio spiegare questa breve ma fondamentale premessa, prenderò in esame la “Venere”, opera presente in mostra. Già il titolo e il soggetto trattato sono un chiaro esempio di quel procedimento di approriazione di icone di massa con il quale gli artisti Pop si impegnavano a raggiungere un linguaggio visivo immediato e universalmente riconoscibile dal popolo nella sua totalità. Se però le icone di cui si servivano i Pop erano quelle del consumismo più gretto e sfrenato, Constantin si appropria invece di immagini più raffinate, derivanti dai grandi capolavori dall’arte del passato, ma comunque riconoscibili in virtù di una sedimentazione di esse nella memoria inconscia dell’umanità. Ma al contrario del Pop che nella maggior parte dei casi è rimasto superficiale, divenendo causa e sintomo dei paradossi di una società, Constantin attraverso la poetica formale ed estetica dei suoi lavori esprime con fredda ironia le forti inquietudine del nostro tempo, e contemporaneamente propone una decisa curatora nei confronti delle grandi contraddizioni maturate nei giorni nostri. Ed è proprio ciò che la distingue dalla PopArt e lo avvicina ad un Realismo di stampo sociale, politico.La Venere viene infatti impoverita e dissacrata, allo stesso modo in cui l’ideologia post-moderna e le società mass-mediali che idolatrano e inducono all’estremo consumismo hanno impoverito e dissacrato la spiritualità ed interiorità dell’essere umano, trasformandolo a tutti gli effetti in un automa predisposto all’usa e getta. La venere è così posta su un piedistallo che è la sua stessa cassa di trasporto, ad indicare come l’angoscia consumistica abbia colpito nel profondo, sino ad arrivare alla cultura e all’arte. L’opera entra in galleria, e nel momento che viene fruita è già pronta per essere riposta in magazzino, dimenticata, come si può fare con un capo d’abbigliamento o un ellettrodomestico vecchio. Come dicevo l’icona della Venere, metafora dell’azione degli sviluppi delle società capitaliste sull’uomo, viene anche dissacrata e sfruttata, costretta al silenzio da una “palla da bondage”. Un silenzio rassegnato allo sfruttamento della sua immagine per fini commerciali e pubblicitari. Ma questi elementi che inserisce Constantin non hanno una funziona esclusivamente di illustrazione concettuale, di speculazione filosofica sulla realtà. Consapevole delle anemie visive che oggi caratterizza la visione distratta, Constantin inserisce l’estetica sessuale estrema del bondage come strumento per catturare lo sguardo disattento del fruitore contemporaneo. L’idea della Venere poggiata sul piedistallo che è la sua stessa cassa di trasporto, è in realtà lo sfruttamento di un immagine stridente (il candido gesso della scultura e lo sporco legno della cassa) che causa stupore e ironia. Si crea in questo modo un percorso percettivo fenomenologico, in cui il fruitore riesce autonomamente ad approcciarsi esteticamente all’opera e risalire intuitivamente ai motivi concettuali ed ideologici che ne sono a monte.